martedì 18 novembre 2014

Urinare in strada.

Un uomo fa la pipì vicino all’ingresso di un'abitazione. Atto disgustoso ma non è reato, manca l'elemento soggettivo.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 maggio – 17 novembre 2014, n. 47244 Presidente Teresi – Relatore Gentili 

Ritenuto in fatto 

II giudice di pace di Bergamo, con sentenza del 9 maggio 2013, ha assolto, per non aver commesso il fatto, C.G.F., imputato del reato di cui all'art. 726 cod. pen., per avere compiuto atti contrari alla pubblica decenza, consistenti nell'avere orinato vicino all'ingresso della abitazione di tale R. F.M.sita in Bergamo. 
La sentenza assolutoria era motivata attraverso il richiamo della testimonianza di tale C.G., alla luce della quale, sostiene il giudicante, emergerebbe che, stanti le sue modalità, il fatto non costituirebbe reato, e di tale B.N., verosimilmente appartenente alle forze dell'ordine, il quale ha dichiarato di essere stato mandato sul posto dalla centrale operativa e di avere riscontrato che era in corso una lite fra il C. ed il R.F.. 
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale della Corte di appello di Brescia, il quale ha dedotto la manifesta illogicità della sentenza per non avere il Giudice di pace tenuto conto dei fatto che lo stesso C. nel verbale di querela orale da lui sporta, peraltro in data imprecisata, avrebbe ammesso i fatti nella loro materialità. 
Peraltro, aggiunge il ricorrente, la sentenza, in modo contraddittorio, dapprima sembra avvalorare una formula assolutoria per assenza dell'elemento soggettivo, salvo poi, in dispositivo, propendere per la formula del "non aver commesso il fatto". 

Considerato in diritto 

Il ricorso, risultato infondato non è, pertanto, meritevole di accoglimento. 
Osserva il Collegio, in linea di principio, che per giurisprudenza pacifica di questa Corte "sono atti contrari alla pubblica decenza tutti quelli che in spregio ai criteri di convivenza e di decoro che debbono essere osservati nei rapporti tra i consociati, provocano in questi ultimi disgusto o disapprovazione come l'urinare in luogo pubblico. Né la norma dell'art. 726 cod. pen., esige che l'atto abbia effettivamente offeso in qualcuno la pubblica decenza e neppure che sia stato percepito da alcuno, quando si sia verificata la condizione di luogo, cioè la possibilità che qualcuno potesse percepire l'atto" (cfr. ex multis: Corte di cassazione, Sezione V penale, 28 aprile 1986, n. 3254; idem Sezione III penale, 25 ottobre 2005 n. 45284; più di recente: idem Sezione III penale, 25 marzo 2010 n. 15678; nonché, da ultimo: idem Sezione III penale, 16 settembre 2013, n. 37823). 
Il reato in questione poi si differenzia da quello di cui all'art. 527 cod. pen., in quanto la distinzione tra gli atti osceni e gli atti contrari alla pubblica decenza va individuata nel fatto che i primi offendono, in modo intenso e grave il pudore sessuale, suscitando nell'osservatore sensazioni di disgusto oppure rappresentazioni o desideri erotici, mentre i secondi ledono in via esclusiva il normale sentimento di costumatezza, generando fastidio e riprovazione (Corte di cassazione, Sezione III penale, 14 marzo 1985, n. 2447). 
Ciò posto osserva il Collegio che, secondo quanto risulta dal tenore della impugnazione proposta dal PG, questi si duole dei fatto che il Giudice di pace, dopo avere affermato che, alla luce delle risultanze istruttorie e della documentazione acquisita, era emerso che, tenuto conto delle modalità dell'accadimento, il fatto non costituiva reato, abbia poi provveduto ad assolvere l'imputato per non aver commesso il fatto. 
Invero, rileva la Corte, al netto di una certa imprecisione terminologica di cui è sicuramente vittima l'estensore della sentenza impugnata, è ben chiaro che l'apparente antinomia fra motivazione e dispositivo della sentenza è risolvibile ritenendo che la formula utilizzata nel dispositivo (peraltro non riportata fedelmente nel suo ricorso neppure dal Pg), secondo la quale l'imputato deve essere mandato assolto dal reato di cui all'art. 726 cod. pen. "perché non lo ha commesso", va intesa non, certamente, nel senso che il reato è stato commesso da altri, ma nel senso che la condotta del C. non integra gli estremi del reato, cioè, essa non costituisce reato, così come riportato in sentenza. 
D'altra parte il riferimento alle modalità dell'accadimento presente nella sentenza offre più di un elemento per ritenere che il Giudice di pace di Bergamo abbia ritenuto carente dell'elemento soggettivo, anche con riferimento al profilo della sola colpa, la condotta (l'accadimento) pur realizzata dal C.. 
Deve, infine, rilevarsi che non vi è, per costante giurisprudenza di questa Corte, un apprezzabile interesse alla impugnazione della sentenza ad opera della parte pubblica-laddove la impugnazione abbia ad oggetto la erroneità della formula assolutoria adottata dal giudicante (Corte di cassazione, Sezione III penale, 20 marzo 2009, n. 12482). 
Deve, conclusivamente, rigettarsi il ricorso del Procuratore generale. 

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia. 

Guida in stato di ebbrezza: confisca veicolo anche se in comproprietà

Guida in stato di ebbrezza. Comproprietà veicolo? Il veicolo va confiscato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 25 settembre – 13 novembre 2014, n. 47024 Presidente Brusco – Relatore Zoso 

Ritenuto in fatto 

R. Luca era imputato della contravvenzione di cui all'articolo 186, commi primo e secondo lettera c e secondo sexies del decreto legislativo 30 aprile 1992 numero 385 perché era stato colto alla guida dell'autovettura Mito targata EDXXXXX in stato di ebbrezza dovuto all'uso di bevande alcoliche con valore di tasso alcolemico oltre 1,5 g per litro in T.B. alle ore 00.56 del 6 gennaio 2013. 
L'imputato chiedeva di definire il giudizio mediante applicazione della pena ex articolo 447 c.p.c. ed il tribunale di Arezzo, avendo il pubblico ministero prestato il consenso, riconosciute le attenuanti generiche ed operata la diminuzione per la scelta del rito, applicava la pena di mesi due e giorni 24 di arresto ed euro 872 di ammenda, sostituita a norma dell'articolo 186, comma 9 bis, del decreto legislativo 30 aprile 1992 numero 385, con la pena del lavoro di pubblica utilità da effettuarsi presso la Confraternita di Misericordia di Montevarchi per la durata di giorni 84; applicava, poi, la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di anni tre. Osservava il tribunale che la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida andava determinata nella durata di anni uno e mesi sei, dovendosi ritenere tale periodo proporzionato ai valori alcolimetrici riscontrati pari a 2,02 e 2,09 grammi per litro, e doveva essere raddoppiata poiché il veicolo apparteneva a persona estranea al reato. 
Avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione R.L. svolgendo due motivi di doglianza. 
Con il primo motivo deduceva erronea applicazione della legge penale sostanziale in relazione alla previsione dell'articolo 186, comma due, lettera C, decreto legislativo 285/92 e mancanza e/o manifesta illogicità e/o contraddittorietà della motivazione risultante dal testo della sentenza per avere il tribunale travisato le risultanze probatorie. Sosteneva il ricorrente che l'autovettura da lui guidata era cointestata a sé medesimo ed alla convivente A.O. ed il tribunale di Arezzo, contravvenendo alla norma di cui all'articolo 186 del decreto legislativo 285/92, aveva disposto il raddoppio della durata della sospensione della patente di guida benché la vettura fosse cointestata al guidatore. La motivazione addotta dal tribunale a sostegno della decisione era illogica e contraddittoria in quanto risultava dal PRA la cointestazione dell'auto ed il giudicante aveva ritenuto superata la presunzione di comproprietà del veicolo, prevista dall'articolo 6 del RDL 15 marzo 1927 numero 436, per il fatto che la polizia giudiziaria non aveva disposto il sequestro del veicolo. 
Con il secondo motivo di doglianza il ricorrente deduceva inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione alla previsione di cui all'articolo 186, comma secondo, lettera C del Codice della Strada essendo eccessivo e sproporzionato il periodo di sospensione della patente di 
guida inflitto e facendo difetto la motivazione in relazione alla commisurazione della sanzione medesima. 
Il procuratore generale concludeva chiedendo l'accoglimento del ricorso con riguardo al primo motivo, dovendosi ritenere infondato il secondo, con conseguente pronuncia di annullamento con rinvio ad altro giudice dello stesso tribunale. 

Considerato in diritto 

In ordine al primo motivo di ricorso, si osserva quanto segue. 
Nella motivazione della sentenza si legge: "Non può conseguire la confisca amministrativa del veicolo giacché esso risulta al PRA cointestato al R. ed a tale A.O. ma non vi sono elementi che consentano di ritenere che sia civilisticamente di comproprietà del primo ( ed infatti non consta che la polizia giudiziaria abbia proceduto al sequestro amministrativo )." La motivazione in sè appare illogica considerato che questa Corte di legittimità ha affermato il principio che "È ammissibile la confiscabilità parziale di un compendio sequestrato allorché una sola parte di esso sia di proprietà del condannato e la confisca dell'intero verrebbe a sacrificare i diritti di terzi estranei al reato, quali sono gli eredi dell'imputato prosciolto da esso per morte. Al riguardo non va confusa l'applicabilità della misura di sicurezza che trova la sua disciplina nell'art. 240 cod. pen. con le modalità di esecuzione di essa quando un compendio di beni sia indivisibile o indiviso e possa comportare una incidentale comunione tra lo stato ed altri soggetti rispettivamente nella parte (o nella quota) soggetta alla misura ed altra cui essa non è estensibile" (Sez. III 17.10.1984 n.1650 rv. 167059). Principio ribadito da questa stessa sezione sez IV 27.1.2011n. 2819; IV 3.7.2009 n.41870 rv 245439; massime precedenti conformi: N. 2887 dei 2008 Rv. 238592, N. 28189 del 2009 Rv. 244690). Ciò posto, da un lato il tribunale ha affermato che il veicolo, secondo quanto risulta dal PRA, è cointestato all'imputato, dall'altro ha ritenuto che dal fatto che la polizia giudiziaria non aveva proceduto al sequestro si doveva dedurre la prova dell'insussistenza della comproprietà. Sennonché, come affermato da questa corte di legittimità ( Sez. 3 civ. n. 9314 del 20/04/2010, Rv. 612775) l'iscrizione nel pubblico registro automobilistico (p.r.a.) del trasferimento di proprietà di un'autovettura, prevista dall'art. 6 dei r.d.l. 15 marzo 1927, n. 436, convertito nella legge 19 febbraio 1928, n. 510, pur essendo volta a dirimere i conflitti tra aventi causa dal medesimo venditore, assume, altresì, valore di prova presuntiva in ordine all'individuazione del proprietario del veicolo. Ne consegue che la prova contraria dell'insussistenza del diritto di comproprietà del veicolo in capo al R. non può derivare dalla mera constatazione del non avere la polizia giudiziaria proceduto al sequestro del medesimo. Da ciò deriva che il veicolo avrebbe dovuto essere confiscato e la durata della sanzione accessoria della sospensione della patente di guida non avrebbe dovuto essere raddoppiata. 
Sennonché, in difetto di ricorso incidentale del Procuratore Generale, la confisca non può essere disposta e la sentenza impugnata va annullata limitatamente alla durata della sospensione patente di guida che va determinata in anni uno e mesi sei, con esclusione del raddoppio. E non è ravvisabile il vizio di violazione di legge nella sentenza impugnata relativamente alla durata della sospensione della patente di guida in quanto tale sanzione accessoria, determinata nella durata di anni uno e mesi sei, ancorché erroneamente raddoppiata per la ritenuta non cointestazione del veicolo in capo al R., è contenuta entro i limiti previsti dalla norma; neppure è ravvisabile il difetto di motivazione poiché il tribunale, con motivazione esaustiva ed esente da vizi logici, ha ritenuto proporzionata la sanzione accessoria così determinata ai valori alcolimetrici riscontrati ( 2,02 e 2,09 g/I ), superiori di un terzo rispetto al valore minimo di riferimento indicato dall'art. 186, comma secondo, lettera c del C.d.S.. Tale motivazione è idonea a supportare la decisione e l'analisi di ulteriori elementi si risolverebbe in un giudizio di merito che è precluso in questo giudizio di legittimità. 

P.Q.M. 

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata della sospensione della patente di guida; durata che determina in anni uno e mesi sei. Rigetta il ricorso nel resto. Così deciso il 25.9.2014.